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Mostra personale dell'artista Coreana : Gyunghee Joh "Cercatori dell'oblio" dal 14 al 21 dicembre 2014 , tutti i giorni dalle ore 19.30 alle 22.30
Inaugurazione il 14 dicembre ore 19.30
“Cercatori dell'oblio”
Mostra personale di Gyunghee Joh
La parola Notturno, dal francese “nocturne”, indica etimologicamente una musica ispirata alla notte; essa è caratterizzato da un tempo lento, con una parte centrale accelerata con una intonazione spesso malinconica, poetica ma anche vivace, confidenziale ed intima. Il primo grande compositore di Notturni fu John Field, irlandese, vissuto fra Settecento e Ottocento.
Se provate ad osservare le opere di Gyunghee Joh lasciandovi trasportare dalla melodia del “Claire de Lune” di Debussy, vi accorgerete subito che vi è una sostanziale equivalenza tra i valori pittorici di questa giovane artista e quelli musicali del notturno: l’andatura melodica del “nocturne, ora solitaria e melanconica, ora più rasserenata , sembra imprimersi nelle tele. Ora permeandola di umori romantici, ora dando vita a suggestivi paesaggi notturni, dove le piccole shiloutte umane si stagliano delineate in controluce dalla luna. Si tratta di presenze solitarie, immerse in una ovattata sonorità ed in una atmosfera suggestiva, ma venata di una sconfinata malinconia; sono immagini costantemente in bilico tra due mondi, tra due condizioni esistenziali contrastanti: interiore ed esteriore, ombra e luce, giorno e notte… immagini dunque dove la realtà vede sfumare costantemente i suoi contorni sconfinando nell’irrealtà, nella visione onirica. Infatti se osserviamo con attenzione, l’artista rifugge ogni trascrizione meticolosa delle apparenze della realtà, non indugia in vagheggiamenti estetico-sensisti, ma traspone sulla tela paesaggi interiori dell’anima, frutto di un coacervo di ricordi, sentimenti, emozioni che sono patrimonio dell’artista ma anche dell’intera umanità. La decisa presa di distanza da una resa meticolosa e nitida, nelle opere di pittura come nelle fotografie, la sfuocata indeterminatezza “whistleriana” delle sue immagini, la mancanza di riferimenti spazio-temporali, il vuoto incombente, se da una parte disorientano l’osservatore negando ogni punto di appoggio con la realtà, dall’altra fa da potente catalizzatore. Ciò favorisce una naturale e personale sovrapposizione ed immedesimazione con le shiluotte nere delle opere; è come se venissimo inghiottiti e ci trovassimo a contemplare in questi silenziosi paesaggi.. Questo processo di immedesimazione ci ricorda in un certo senso le parole del grande drammaturgo Heinrich von Kleist il quale, a proposito del dipinto di Friederich “Il monaco”, scrisse:
“ .. tutto ciò che avrei dovuto trovare nel quadro, lo trovai tra me e il quadro [...] e così io stesso
divenni il monaco, il dipinto divenne una duna, ma ciò su cui doveva spaziare il mio sguardo
nostalgico, il mare, mancava del tutto.”