MISS JULIE
Titolo originale: Julie
Nazione: Norvegia, Gran Bretagna
Anno: 2015
Genere: Drammatico
Durata: 120'
Regia: Liv Ullmann
Approfittando dell'assenza del barone suo padre, la contessina Julie, una notte di mezza estate sul finire dell'Ottocento, balla con un guardiacaccia, lasciando di stucco il servo del padre, John, che la prende per matta. Non contenta, Julie insiste nel sedurre lo stesso John, il quale cede, confessando il suo amore di lunga data per lei. La donna di John, la cuoca Kathleen, li vede incamminarsi verso il pericolo e ha pena della ragazza e disprezzo di John. Quando la notte volge al termine e il barone rientra, la tragedia di miss Julie si consuma, sotto la forma di un hara kiri.
Strindberg conosce l'instabilità psicologica e ne fa materia del proprio dramma, affondando come suo solito nell'autobiografismo e ribadendo l'ideologia misogina che lo porta a vedere nella donna tanto un essere debole e degradante quanto la detentrice di un pericoloso potere, in grado di togliere all'uomo l'onore che gli è proprio. Liv Ullman non modifica il testo, lascia piuttosto che sia il tempo, l'oggi, ad insinuarsi nelle pieghe del senso e a portare a galla la sfumatura del femminicidio e, più nel dettaglio, del gioco perverso che scambia vittima e carnefice, colpa, desiderio, potere. Un gioco antico quanto l'uomo, che il drammaturgo e la regista guardano con occhi molto diversi, pur pronunciando le stesse parole.
La regista gioca poi con intelligenza intrecciando i piani della vita, del teatro e del cinema, con semplicità e gusto, senza scomodare inutili confronti bergmaniani. Se il personaggio di Kathleen, guidato da una fede infantile e monolitica, riesce a far coincidere quasi in pace persona e personaggio, per John, più che mai, e per miss Julie, questo non è possibile: indossata la livrea John è un servitore e non può non servire, è il suo ruolo, ma tolta la giacca John è altro, in cerca d'altro. Alla bidimensionalità dell'essere umano, sdoppiato tra il ruolo sociale e un sé più profondo (e pronto a frammentarsi ancor più, con l'avvento della psicanalisi) si aggiunge la particolare psicologia dell'attore, sempre dentro e accanto al personaggio, e ancora una dimensione ulteriore, portata dal cinema stesso: quella dello star-system.
Il confronto, sotto quest'ultimo piano, è però impietoso: mentre la Chastain ipnotizza lo spettatore, passando di registro in registro senza mai farci avvertire lo scricchiolìo della giuntura, Colin Farrel si limita a sottolineare con eccessiva insistenza la dizione irlandese, facendo più smorfie che in un film espressionista, e solo la vaga somiglianza con Dirk Bogart, mentre si dice nient'altro che un "servant", permette di non considerarlo del tutto fuori cast.
MERCOLEDI' 16 MARZO, presso il #CinemaComunale di #Matera
Orari: 17.15 - 19.30 - 21.45
Costo biglietto: € 4,00