Domenica 20 marzo
La performance “per una Rosa” è un omaggio a Pier Paolo Pasolini, alla sua Poetica, alle sue Passioni, alle sue Parole.
È uno studio liberamente ispirato al testo “poesia in forma di rosa”, un’opera manifesto della produzione artistica di Pasolini dei primi anni sessanta, che ha fortemente influenzato la poetica e la icerca sul sacro, sulle iconografie e sui simboli.
Alla base della produzione cinematografica del tempo vi è l’idea mistica che Pasolini aveva del cinema stesso, una lingua scritta della realtà non evocativa ma ‘tautologica’.
Utilizzando gli elementi della realtà, in cui i poveri sono veri poveri, così come i doppiatori non sono professionisti o la cinepresa è tenuta sulla spalla, è la realtà stessa a fornire i materiali e l’intervento dell’artista, in questo modo, è riconducibile all’invenzione del progetto ed al montaggio discorsivo della pellicola.
Il cinema di Pasolini rappresenta dunque una messa a nudo del carattere che egli attribuiva alla sacralità.
Il sacro per divenire realtà nel mondo ha bisogno di manifestarsi e la messa in scena dei suoi strumenti fondamentali, rappresentati dalle immagini e dai simulacri, risulta inevitabile.
Il contesto cristiano, quale si esprime nel cinema pasoliniano, è essenzialmente un contesto popolare costruito attraverso uno sguardo antropologico acuto, che sa individuare fisionomie, posture, atteggiamenti, comportamenti.
Pasolini descrive la vicenda del Cristo guardando essenzialmente a due grandi repertori iconografici: la tradizione figurativa, sia pittorica che scultorea, e la messa in scena popolare.
Numerosi sono i riferimenti al mondo dell’arte: da Giotto a Correggio, da Masaccio a Piero della Francesca, da Caravaggio ai manieristi Pontormo e Rosso Fiorentino, da Niccolò dell’Arca a di Guido Mazzoni. Le descrizioni paesistiche di Pasolini sono vere e proprie descrizioni digressive che hanno come tema opere d’arte figurative.
È lo stesso Pasolini a ricordarlo a proposito del cinema, quando afferma di non riuscire «a concepire immagini, paesaggi, composizioni di figure al di fuori di questa mia iniziale passione pittorica […] quindi le mie immagini, quando sono in movimento, sono in movimento un po’ come se l’obiettivo si muovesse su loro sopra un quadro: concepisco sempre il fondo come il fondo di un quadro.»
Pasolini cineasta si pone davanti alla realtà come se fosse già stata dipinta, soprascritta: «amo lo sfondo, non il paesaggio. Non si può concepire una pala d’altare con le figure in movimento. Perciò nessuna inquadratura può cominciare col ‘campo’, ossia col paesaggio vuoto. Ci sarà sempre, anche se piccolissimo, il personaggio. […] E dietro, lo sfondo, lo sfondo, non il paesaggio.»
Nel Vangelo secondo Matteo, Pasolini insiste nella ricerca di una forma poetica e arcaica del paesaggio, che fosse adatta a significare l’epifania del sacro nella concreta forma cristiana che intendeva descrivere.
La ricerca dell’arcaico nel cinema pasoliniano, non possiede la dimensione nostalgica e sembra voler additare una dimensione complessa e sfuggente del tempo, una sorta di fusione metastorica tra il passato evocato e il presente significante, che si manifesta attraverso la messa in relazione di fissità e movimento.
Il linguaggio tautologico della realtà, la tradizione figurativa ed iconografica, le sacre rappresentazioni, la messa in scena popolare, lo studio sui simboli, la relazione tra fissità e movimento, sono gli elementi che da sempre hanno accompagnato la nostra ricerca sulla tecnica dei tableaux vivants. Costruiti sulla musica, altro elemento centrale del nostro lavoro, i quadri viventi sono realizzati con pochi mezzi: poche stoffe, pochi oggetti e, soprattutto, i corpi degli attori che, facendosi modelli ed attrezzisti, compongono dinanzi agli occhi degli spettatori le tele.
Nulla è lasciato al caso così come nulla è superfluo. La dinamica della costruzione trova il suo equilibrio nella sospensione musicale di uno stop, nel fermo immagine di un’azione in divenire che costringe il corpo ad una tensione muscolare viva e pulsante.