Lavoro: bene comune
Su questo tema sono convocati giovani, imprenditori, maestranze, operai, impiegati, professionisti, disoccupati, sindacati, comunità cristiane per una veglia di preghiera in prossimità del 1° maggio festa di san Giuseppe lavoratore, giornata tradizionalmente dedicata al mondo del lavoro.
Venerdì 28 aprile 2017 alle ore 20,30presso la Cooperativa La Traccia, in via Fiorentini 10, nei Sassi in Matera.
Significativa la scelta del luogo dove si svolgerà la veglia, presso la sede di una cooperativa che opera nella Città e nel territorio da oltre 30 anni e che ha fatto dell’innovazione la carta vincente per superare la crisi ancora in atto; impresa che ha scelto di collocare i propri uffici in un Vicinato nel cuore dei Sassi.
SI vole celebrare la speranza, in vista della 48° settimana sociale dei cattolici italiani “Il Lavoro che vogliamo libero, creativo, partecipativo e solidale” che si volgerà a Cagliari, tutta incentrata sul lavoro e sulle buone prassi di aziende che funzionano.
Nel corso della veglia, che durerà poco più di un’ora, si alterneranno momenti di preghiera, testimonianze e la Parola del nostro Arcivescovo, S.E. Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo.
“Il lavoro ci dà dignità, e i responsabili dei popoli, i dirigenti hanno l’obbligo di fare di tutto perché ogni uomo e ogni donna possano lavorare e così avere la fronte alta, guardare in faccia gli altri, con dignità. Chi, per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari, chiude fabbriche, chiude imprese lavorative e toglie il lavoro agli uomini, compie un peccato gravissimo”. Lo ha detto papa Francesco, al termine dell’udienza generale di mercoledì 15 marzo. “Le persone – commenta ad Avvenire l’arcivescovo di Taranto mons. Filippo Santoro, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro e del Comitato organizzatore delle Settimane sociali – non sono oggetti e non possono essere trattate come merci. E se il criterio supremo che muove l’economia è la tirannia del dio denaro, una conseguenza inevitabile è appunto la cultura dello scarto”. “Per cui Francesco non esagera affatto, quando usa il superlativo assoluto ‘gravissimo’”.