Autore: Gianni Cristallo
Prefazione di Orlando Todarello - Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi di Bari Direttore U.O. di Psichiatria “L. Bini” Consorziale Policlinico-Giovanni XXIII Bari
Presentazione di Margherita Giordano - Psicologa Specializzanda in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale
Aula Convegni, Istituto Sant'Anna
ore 17.00
ingresso libero
Ulteriori dettagli
Contributi di: Maria Sabino, Pasqua Rana, Giuseppe Epifania, Paolo Porcari, Antonella Cristallo, Clementina Pecorelli, Antonello Capodiferro.
Non più un’autobiografia ma un’opera di stampo saggistico in chiave sociologica.
Il titolo del primo libro era Non voglio piangere più.
Ora non chiede aiuto all’umanità ma vuole allertarla e aiutarla su temi di estrema attualità, sempre con umiltà. Esorta a far scendere lacrime solo per belle e dolci emozioni!
Non scrive da paziente questa volta ma quasi da terapeuta per cercare di lenire le sofferenze del mondo, in agonia, oggi, soprattutto nel disagio psichico… e a causa di esso.
È il rapporto medico paziente che necessita rivedere, o quasi ricostruire, e l’autore rilegge questa relazione anche alla luce della figura, a lui vicina, del grande padre della neuropsichiatria infantile italiano, Giovanni Bollea, purtroppo scomparso da appena due mesi.
È soprattutto il dialogo e il confronto che devono caratterizzare la vita quotidiana, a maggior ragione nel rapporto genitori-figli. Oggi purtroppo la moderna tecnologia necrotizza tali valori! Agite sempre secondo coscienza e vivete motivati nell’innalzare e difendere qualsiasi valore: rispettiamo i valori della persona ma soprattutto la persona come valore. Egli provoca: Non abbiate paura di investire rileggendo il passato, anche se doloroso, questo può farvi stare un tantino meglio nel futuro.
Nella vita mettetevi in gioco sempre e comunque!
L’aspetto narrativo ha voluto riportarlo con qualche integrazione ma non aggiornarlo per evitare di far perdere le preziose tracce del I scritto. Nel III ci sarà il prosieguo narrativo e la scoperta.
Una vita trascorsa a cercare una cura vera, anzi una vera diagnosi ad un problema non ancora risolto.
Libri come questo costringono chi legge a cambiare prospettiva, a vedere, il malato e non la malattia, a confrontarsi con “qualcosa” che non essendo fisica non si può “vedere e toccare”, il disagio psichico, che non si comprende e che spaventa. Confrontarsi con il malato vuol dire confrontarsi con la complessità, rinunciando alle certezze, illusorie, che il separare e semplificare assicura; vuol dire rinunciare alla distanza emotiva che comporta l’occuparsi solo della malattia e farsi contagiare dalle emozioni della persona. Un contagio emotivo che arricchisce e avvicina alla vera comprensione dell’altro.