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07/06/2011 10.49.26 - Articolo letto 5103 volte

NOTA CRITICA SULLE LICENZE CREATIVE COMMONS

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A cura di Vincenzo Vinciguerra
di VINCENZO VINCIGUERRA
Matera Sin dagli inizi del secolo che precede si è verificato un incremento progressivo ma continuo della tutela normativa offerta dal diritto della proprietà intellettuale (intendendosi così gli istituti di diritto industriale e del diritto di autore). Beni non protetti o ritenuti generalmente non proteggibili dal diritto (si pensi solo ad es. ai disegni architettonici, alle c.d. biotecnologie, ai farmaci, alle varietà vegetali, al software, alle banche dati, ai marchi c.d. “olfattivi”, etc) hanno iniziato ad essere oggetto di tutela per mezzo degli istituti di proprietà intellettuale - il cui ambito d’applicazione è stato esteso - o per il tramite di nuovi istituti (sui generis). Sembra che il legislatore abbia ritenuto che solo la concessione di una privativa sui beni immateriali potesse condurre all’efficiente produzione e allocazione di tali tipi di beni.[1]
L’argomento principale a sostegno dell’espansione del diritto d’autore, ed in generale di tutti i diritti di proprietà intellettuale, fa leva sulla circostanza che le nuove tecnologie consentono la riproduzione, mediante copia, delle opere dell’ingegno con un costo, una agilità ed una qualità tali da pregiudicare, sempre maggiormente, l’esercizio effettivo del diritto di autore da parte del suo titolare.[2] Le facoltà di godere e di disporre della propria opera dell’ingegno - frutto di più o meno grandi investimenti di risorse - sono frustrate, si argomenta, dalle nuove tecnologie: oggi un bene immateriale (come ad es. un brano musicale, un software, un film, le “informazioni” di un frammento di codice genetico che è stato isolato) contenuto su un supporto fisico, quale un compact disk, può essere copiato su un altro supporto fisico per pochi centesimi. E’ evidente, si afferma,[3] che per tutelare efficacemente l’autore servano, oggi, strumenti giuridici più acconci all’attuale contesto tecnologico.[4]
D’altro canto, un’eccessiva tutela offerta dal diritto della proprietà intellettuale, come da più parti oggi si osserva,[5] può frustare l’innovazione scientifica, il processo creativo e la sua espressione.[6] Sono questi infatti fenomeni complessi, basati su interdipendenze, intercomunicazioni, relazioni e collaborazione tra i suoi attori; processi “path dependance”, cumulativi e ricorsivi: “vediamo lontano perché siamo come nani sulle spalle dei giganti”.[7]
In un sistema di diritto della proprietà intellettuale dai caratteri ipertrofici, come oggi si presenta a livello nazionale ed internazionale,[8] il soggetto privato, in quanto attore della società dell’informazione, avvertendo come inadatte le “barriere normative” che l’ordinamento erige attorno alle informazioni (lato sensu) che egli quotidianamente utilizza e crea, ha reagito all’ingerenza normativa con lo strumento negoziale. L’associazione creative commons, i relativi progetti e licenze, nascono nel 2001 negli Stati Uniti d’America con lo scopo precipuo di affrancare le opere dell’ingegno di carattere creativo dalla pervasività del diritto d’autore.[9] Tali licenze, mutuate anche nell’ordinamento giuridico italiano, si inseriscono nel solco anni prima segnato dai movimenti Open Source e The Free Software Foundation, con la decisiva differenzache le licenze creative commons (cc) trovano applicazione per ogni creazione intellettuale protetta dal diritto d’autore qualunque ne sia il contesto e la forma di espressione.
Le licenze cc, in ragione del fatto che il diritto di autore viene acquistato a titolo originario nel momento in cui l’opera viene creata (art. 6 l. 633/41, l.a.), offrono un sistema di opt/out dal sistema del diritto d’autore, una modalità per derogare (parzialmente o totalmente) alle numerose facoltà proprie di tale istituto. Tra un estremo in cui “tutti i diritti sono riservati” e l’opposto in cui “nessun diritto è riservato”, le licenze creative commons rappresentano, per così dire, una terza via in virtù della quale solo “alcuni diritti sono riservati”.
 Il progetto creative commons offre all’autore, innanzitutto, la possibilità di rinunciare al suo diritto. Poiché, come si è accennato, il diritto si acquista a titolo originario (a differenza di altri diritti di proprietà intellettuale) con la creazione dell’opera, per rinunciarvi è necessario che l’autore esprima la propria volontà contraria, con una dichiarazione negoziale, unilaterale e non recettizia, che sia tuttavia conoscibile dai terzi (a fortori argomentando dall’art. 110 l.a.) i quali, altrimenti, dovranno presumere l’esistenza del diritto d’autore sul bene immateriale. Il progetto creative commons ha pertanto predisposto un’apposita dichiarazione con cui l’autore “dona” (secondo la terminologia impiegata dalla licenza) la propria opera alla collettività. L’autore, in verità, con tale dichiarazione rinuncia espressamente al proprio diritto, abbandonando la sua opera nel campo di dominio pubblico (il che non importa che i membri della collettività ne divengono titolari), così permettendo la libera circolazione ed utilizzazione della sua opera; con un unico limite rappresentato dai diritti morali di autore (diritto di paternità, diritto all’integrità dell’opera etc.)[10] i quali sono indisponibili e quindi irrinunciabili, inalienabili ed imprescrittibili, e sopravvivono all’estinguersi del diritto d’autore.
Se l’immissione delle opere dell’ingegno nel campo del pubblico dominio sembrerebbe rappresentare l’alternativa al diritto d’autore (o la sua negazione), la rinuncia dell’autore al diritto di cui è titolare permetterebbe tuttavia a qualsiasi soggetto terzo di appropriarsi del bene immateriale oggetto di rinuncia, con il solo limite, citato, rappresentato dai “diritti morali”. I terzi non solo disporrebbero e godrebbero dell’opera di pubblico dominio in maniera piena (anche se non esclusiva) ma potrebbero liberamente “rielaborare” l’opera dell’ingegno, dando corso ad una “opera derivata” (art. 4 l.a.) la quale, con un apporto creativo minimo, diverrebbe oggetto di un nuovo e distinto diritto d’autore, indipendente dall’opera originaria, e la cui titolarità si radicherebbe esclusivamente in capo al soggetto terzo, autore della rielaborazione. L’opera originaria scomparirebbe – nella sua autonomia ed individualità giuridica – per rimanere “assorbita” nell’opera derivata. Per tale motivo, il progetto creative common, così come le sue licenze, non avversano il sistema di diritto della proprietà intellettuale ma - anzi - si fondano su di esso. E’ su questa premessa che l’autore può validamente controllare, per mezzo di un negozio giuridico, tutte le vicende riguardanti la vita e la circolazione della propria opera dell’ingegno, imponendone specifici obblighi in relazione all’an e al quomodo dell’utilizzo, oltre che reagire efficacemente ad ogni violazione che possa rilevare oltre il piano contrattuale.
            Con le licenze cc il titolare del diritto d’autore concede al licenziatario, a titolo gratuito e non esclusivo, l’autorizzazione - irrevocabile - ad esercitare tutte o solo alcune delle facoltà di sua esclusiva titolarità.
Le licenze cc,di seguito brevemente tratteggiate al fine di trarne qualche osservazione, si basano su tre principi cardini, espresse in clausole contrattuali e variamente combinate fra loro: il principio di “attribuzione”, il principio di “utilizzazione non commerciale”, il principio di “uguale condivisione”. Su queste regole si fondano, combinandosi variamente fra loro, tutte le numerose licenze cc.
Con la clausola di attribuzione (attribution), e relativa “licenza attribuzione”, l’autore concede al licenziatario le sue principali facoltà: quella di riprodurre, di distribuire, di comunicare ed esporre in pubblico, di rappresentare, di eseguire e di recitare l’opera, di modificare e di usare l’opera per fini commerciali, imponendo però al licenziatario di riconoscergli la paternità dell’opera, citandolo espressamente. La licenza attribuzione, come tutte le altre, si limita in realtà a concedere solo alcune delle facoltà riconosciute dal diritto d’autore, enunciandole singolarmente: evita il ricorso ad un’ampia formula concessiva, come quella prevista dall’art. 12 l.a. (e come sarebbe stato auspicabile in una lettura teleologicamente orientata delle licenze). Una immediata conseguenza di tale tecnica redazionale è la mancata previsione, probabilmente involontaria ma forse non priva di pratiche conseguenze[11], della facoltà di traduzione ex art. 18 l.a.. In questo, come i tutti i casi simili, il diritto d’autore si ri-espanderà vietando, ex art. 19 l.a., l’esercizio di quelle facoltà non espressamente concesse.
Sembra inoltre pleonastica, nel nostro ordinamento, la previsione dell’obbligo di attribuzione di paternità (obbligo che origina infatti in un paese di common law a cui è estranea la categoria concettuale di diritto morale) in tutte quelle ipotesi in cui l’applicazione di tale obbligo è comunque garantita dalla legge sul diritto d’autore (si pensi e.g alle ipotesi di cui agli art. 22 e 65 l.a.).
La seconda clausola, che restringe la sfera di applicabilità della licenza attribution, caratterizza la licenza cc “non commerciale” (non commercial) facendo divieto al licenziatario di sfruttare economicamente l’opera. Tuttavia, la genericità di espressione può prestare il fianco ad abusi e a problemi applicativi non chiarendo la licenza se l’uso “non commerciale” vada inteso nel senso dell’esclusione del fine di lucro o, invece, dell’esclusione di ogni “profitto” (art 171bis l.a.), con decisivi risvolti sul piano penale (oltre che negoziale).
Il terzo tipo di clausola è la “condividi allo stesso modo” (share alike). Questa clausola impone al licenziatario, nell’eventualità che re-distribuisca a sua volta l’opera licenziatagli, di distribuirla secondo i termini dell’originaria licenza. E’ evidente che la clausola tende a superare la limitazione dovuta all’efficacia obbligatoria del negozio di licenza, imponendo - “viralmente”[12] -  che tutti i successivi, e potenzialmente infiniti, “aventi causa”[13], siano vincolati alle stesse condizioni contrattuali intercorse tra il primo licenziante ed il licenziatario.[14]
Tale clausola, la cui validità presenta qualche problema nell’ordinamento statunitense[15], non dovrebbe sollevare obiezioni nel nostro ordinamento (come prima facie potrebbe ritenersi avuto riguardo - solo ad esempio - al principio di esaurimento). Essa rappresenta manifestazione ed esercizio delle facoltà legali concesse all’autore dall’ordinamento. Con essa il licenziante non si attribuisce facoltà diverse da o di ampiezza maggiore di quelle che la legge gli riconosce (si cfr. l’art. 119, 3° c., l.a.), ma rende efficaci i termini contrattuali da lui predisposti per tutta la catena di soggetti, per lui terzi, che assumeranno la qualità di suoi “aventi causa”. Appare perciò improbabile che la clausola possa avere effetti anticoncorrenziali o possa rappresentare esercizio abusivo del diritto, poiché essa, da un lato, non si pone in distonia sostanziale con i fini del diritto stesso e, dall’altro lato, non supera i limiti interni, o - anche - soltanto esterni, del diritto.[16] La violazione della clausola importerà quindi un inadempimento contrattuale da parte del licenziatario inottemperante alla clausola in parola, e permetterà al licenziante di agire secondo i comuni rimedi contrattuali, oltre alla possibilità di esperire l’azione di contraffazione secondo la l.a. (che continua ad operare, per così dire, in sinergia insieme alla disciplina legale dei contratti).
Per quanto riguarda i profili applicativi di maggior rilievo[17] comuni a tutte le licenze cc, ed in relazione alla valida manifestazione di volontà del licenziatario in ordine all’accettazione dei termini negoziali, tutte le licenze cc contemplano la c.d. clausola iCommons che prevede, nella eventualità che le facoltà legali concesse in licenza siano esercitate in una giurisdizione diversa da quella italiana, l’applicabilità non più dell’originaria licenza, ma di quella ad essa corrispondente di diritto statunitense. Sembra improbabile che il consenso possa validamente formarsi su un testo contrattuale, espresso in una lingua che non tutti potrebbero conoscere, richiamato solo de relato;[18] a fortori, ciò sarà vero se l’autoregolamentazione richiamata contenga disposizioni che abbisognano, anche nell’ordinamento in cui viene applicata, di espressa accettazione. Non si comprende perché la licenza di diritto statunitense, tra l’altro contenente elementi di estraneità rispetto ai nostri principi (si pensi ai già menzionati diritti morali, alla disciplina delle opere derivate e del fair use, a tacer d’altro), possa meglio tutelare il licenziante (garantendo “il livello massimo di efficacia”).[19] Mi sembra più lineare, così sottraendo la clausola ad eventuali rilievi di invalidità, lasciare che la licenza cc italiana, conosciuta e accettata dall’autore originario, venga applicata alla luce del sistema giuridico individuato in base alle regole di diritto internazionale privato dello Stato in cui la tutela è chiesta.
Infine, nel trasporre nell’ordinamento italiano l’art 7 delle licenze, rubricato “risoluzione”, si è eliminata l’originale dizione che prevedeva la risoluzione automatica in caso di “qualsiasi inadempimento negoziale”.[20] Lo strumento per conseguire un analogo risultato, nel nostro ordinamento, è quello della clausola risolutiva espressa. Tuttavia, come è noto, tale clausola sarebbe inefficace qualora fosse talmente generica da riferirsi a qualsiasi inadempimento. Inoltre, l’operatività della stessa è subordinata ad una espressa dichiarazione della parte contraente che intende valersene (art. 1456 c.c.). Nella trasposizione italiana si è pertanto subordinata la validità ed efficacia del contratto alla condizione risolutiva rappresentata da “qualsivoglia inadempimento dei termini” contrattuali. Questa soluzione, però, non mi sembra immune da vizi. Anche se appare superabile l’obiezione secondo cui la condizione risolutiva opera dall’esterno come fatto autonomo rispetto all’autoregolamento a cui è collegato,[21] è probabilmente corretto ritenere, invece, che l’evento condizionante possa ben essere individuato nell’adempimento o nell’inadempimento di una delle obbligazioni del contratto.[22] Tuttavia, in base ad una ricostruzione sistematica, sembra improbabile che possa ritenersi la validità di una condizione risolutivamente condizionata genericamente all’inadempimento “di qualsivioglia inadempimento”.[23] Sarebbe forse più cauto mantenere l’escamotage  della condizione risolutiva espressa (quantomeno per l’automatismo con cui opera) legandola specificamente alle obbligazioni che concorrono a determinare il momento causale caratterizzante quella licenza cc a cui sia apposta.
Infine un breve cenno merita la particolare licenza “Developing Nations” che – muovendo dalla premessa dell’esistenza di un profondo divario economico e sociale esistente tra i paesi industrializzati ed i paesi in via di sviluppo – prevede l’attribuzione di tutte le facoltà afferenti il diritto di autore solo per le opere da utilizzarsi nei paesi in via di sviluppo (scegliendo, tra i possibili, il criterio della territorialità come rilevante per l’applicazione dell’autoregolamentazione secondo la tecnica normativa delle convenzioni internazionali in materia). Licenza che, discriminando le parti contraenti in relazione al luogo di esercizio delle facoltà concesse, probabilmente rappresenta attuazione del principio costituzionale di uguaglianza sostanziale nonché applicazione del principio economico (di particolare momento in quest’ambito) del price discrimination.[24]
Volendo trarre delle brevissime conclusioni dalle sommarie e rapide indicazioni fin qui offerte si può dire che sarebbe stato forse necessaria una maggiore ponderazione nel momento della trasposizione delle licenze in parola nel sistema italiano, al fine di garantirne l’efficacia di applicazione.[25]
Più in generale, si può affermare che le licenze cc inducono nell’utilizzatore una consapevolezza dell’esistenza del diritto d’autore - e della sua ampiezza - che prima era dai più ignorato, e quindi non esercitato. Con le licenze cc l’autore prende prima di tutto consapevolezza del diritto di cui egli è titolare, non per abdicarvi, ma per asserirlo con vigore, salvo a modularne variamente le modalità di esercizio. Ciò implica pertanto l’asserzione del diritto d’autore, anche se nelle forme più o meno “blande” delle licenze cc, con delle conseguenze di lungo periodo forse opposte a quelle che il movimento cc si propone. Tuttavia, è indubitabile che, a fronte della normazione tumultuosa a livello nazionale ed internazionale, le licenze cc offrono non solo uno strumento che asseconda le avvertite esigenze - frustrate  nell’attuale sistema legale - di maggiore libertà di circolazione e di utilizzazione dei beni immateriali, ma rappresenta anche un chiaro messaggio di politica del diritto di cui il singolo soggetto diviene portatore, al di fuori di ogni contesto istituzionale


[1] Per una critica a tale classica impostazione, fondata sull’analogia dei beni immateriali con la  categoria concettuale dei beni pubblici, si veda Elinor Ostrom, Governing the Commons: “The Evolution of Institutions for Collective Action”, 1990. Si veda inoltre Ronald H. Coase, "The Lighthouse in Economics." J. Law and Economics 17, no. 2 (October 1974).
[2]Si veda e.g. James Boyle, “Shamans, Software, & Spleens. Law and the Construction on the information Society”, Harvard University press, (1996).
[3] Sottacendo la circostanza, a tutto vantaggio dell’autore od inventore che, come accennato, il costo marginale del beni immateriale, se “digitalizzato”, è vicino o uguale a zero.
[4] Si veda, per tutti,  Lawrence Lessig, “The Creative Commons”, Fla. L. Rev, 763, 2003.
[5] Per tutti, si veda David Lange, “Recognizing the Public Domain”, 44 law & Contemp. Probs. 147-50 (autumn 1981).
[6]Michael A Heller & Rebecca S. Eisenberg, “Can Patent Deter Innovation? The Anticommons in Biomedical Research” Science, May 1, 1998
[7]Isaac Newton, “Letter from Isaac Newton to Robert Hooke (Feb. 5, 1676)”, in Robert K. Merton, “On the Shoulders of Giants: A Shandean Postscript. The Post-Italianate Edition”, Chicago, 1993. William E. Landes & Richard A. Posner, “An Economic Analysis of Copyright Law, “in 18 “Journal of Legal Studies”, 1989
[8] Per tutti, si veda Robert P. Merges, “A New dynamism in the Public Domain,”, 71 U. Chi. L. Rev. 183 , 2004.
[9] SI veda http://creativecommons.org/about/history, ultimo accesso 12 febbraio 2008.
[10] In realtà non “diritti” ma facoltà derivanti dalla disciplina del diritto d’autore continentale.
[11] E’ possibile che ciò derivi da una “sbavatura” all’atto di trasposizione delle licenze nel sistema italiano poiché, se le traduzioni sono considerate pacificamente “opere derivate” nei paesi di common law (ma anche dalla nostra dottrina) ciò non è vero per la giurisprudenza maggioritaria italiana: si veda Marchetti, Ubertazzi, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, pag. 1510, Padova, 2007.
[12]Margaret Jane Radin, “Human, Computer & Binding commitment, 75 Ind. L. J. 1125 (2000).
[13] In realtà non si attua una successione nel diritto né si verifica un effetto traslativo. Si veda e.g. Franceschelli (a cura di) “Brevetti, Marchio, Ditta, Insegna” in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, pag. 391 ss., Torino, 2003.
[14] Questa regola trova poi peculiare applicazione nelle licenze cc che consentono le elaborazioni di carattere creativo dell’opera dell’ingegno le quali, rappresentando, come già detto, nuove opere dell’ingegno, non possono essere disciplinate dalla licenza con cui è stato concesso il bene immateriale oggetto di rielaborazione.
[15] Una clausola siffatta potrebbe infatti integrare gli estremi del copyright misuse (analogamente a quanto accade, in relazione al patent misuse, per le clausole “grantback”). Si veda Mark A. Lamley, Beyond Preemption: The Law and Policy of Intellectual property Licensing, 87 Cal. L. Rev. 111, 151-158 (1999).
[16] Si veda al riguardo Natoli, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in studi Messineo, IV, Milano, 1959. Altro argomento a sostegno della validità della clausola può trarsi dal regolamento comunitario 240/96 diretto a regolare alcune modalità di trasferimento dei diritti di proprietà intellettuale. Si veda, in particolare, l’art. 3., co. 6.
[17] Tralascio, per motivi di psazio, i profili attinenti al problema della non esclusività e non revocabilità della licenza, al problema del follow-up innovation a cui le licenze cc possono dar causa, dei costi di transazione relativi alla utilizzazione dell’opera concessa in licenza cc, al problema della durata ultrtrenetennale del negozio di licenza cc, al problema della contestuale utilizzablità delle licenze in parola, del mandato alla S.I.A.E., alla questione relativa la compatibilità delle licenze cc con altro tipo di licenze di diritto d’autore, al problema della valida accettazione delle condizioni contrattuali sussumibili nelle fattispecie ex artt. 1342 e 1469 bis c.c..
[18] In sesno conforme Cass 25 marzo 1991 n. 3190
[19]Report on substantive legale changes, pag. 6
[20]“this License and the rights granted hereunder will terminate automatically upon any breach […] of the terms of this License”.
[21] Falzea, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, pag. 238 ss., Milano, 1939
[22] Cass. 8 agosto 1990n. 8051
[23] Conformemente Cass. 16 febbraio 1983 n. 1181
[24] Salvo poi ad essere stata “ritirata” dsll’associazione Creative Commons poiché, probabilmente in “conflict with values we consider important” . SI veda http://creativecommons.org/retiredlicenses, visitato l’ultima volta il 18/02/08.
[25] Un altro esempio di dubbia efficacia traspositiva è dato dalla traduzione dell’art 3 dove, nel prevedere che “i diritti [..] potranno essere esercitati con ogni mezzo di comunicazione e in tutti i formati conosciuti” è stata eliminato la successiva proposizione:“o che saranno in futuro concepiti”. I traduttori hanno temuto, nel mantenere quella frase,  di incorrere nel divieto imposto dall’art 119 l.a. il quale vieta che nel contratto di edizione “possono essere compresi futuri diritti eventualmente attribuiti da leggi posteriori”. Ma, mi sembra, il caso è qui diverso non trattandosi di diritti (recte: facoltà) nuove ma solo di “nuovi mezzi di comunicazione”. Si è operato insomma qui un’altra involontaria limitazione rispetto al’originaria  licenza.



Sassiland News - Editore e Direttore responsabile: Gianni Cellura
Testata registrata presso il Tribunale di Matera n.6 del 30/09/2008




 
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