La vita di tutti i giorni ci mette di fronte all’inevitabile incrociarsi di mondi terribilmente distanti tra di loro, e talvolta in conflitto: il mondo dei giovani contrapposto al mondo degli adulti (i giovani di ieri).
Il mondo dei giovani è un universo difficile da scandagliare, se non fatto con la dovuta cautela e soprattutto se prima di affrontarlo non ci si pone le giuste domande.
Il mondo dei giovani diventa un mondo difficile nel momento in cui non si riesce a parlare con questi ultimi, o peggio, si delega ad altri questo compito (e avviene sempre più nei confronti degli enti pubblici e religiosi, tra tutti la scuola).
Don Antonio Mazzi che racconta di esperienze conosciute o solamente “costruite” ad oc, nel suo volume, ascolta con interesse quelle che sono le testimonianze che la comunità materna ha da proporgli, attraverso le parole delle istituzioni che più di tutte, raccolgono le testimonianze degli ultimi mesi.
A Matera il fenomeno del bullismo è circoscritto (dalle parole del sindaco), grazie alle grandi marginalità sociali e solidali di cui gode questa città; i casi di bullismo a scuola (per l’assessore alla provincia) sono documentati dalle cosiddette zone d’ombra, da quegli individui che vanno a scuola, tutt’altro che interessati all’apprendere, e che negli istituti di formazione secondaria superiore hanno fatto di alcune scuole di Matera e Policoro, luoghi di atti di vandalismo alle strutture.
Nel corso del tempo le istituzioni hanno intensificato (nella realtà provinciale) le relazioni e i dialoghi con la causa giovanile, ricordando alle famiglie e alle scuole l’importanza di essere il primo nucleo formativo di responsabilità ed educazione dei giovani d’oggi.
Anche alle associazioni di volontariato va riconosciuto un merito: quello di essere diventate punti di sensibilizzazione e testimonianza (e tra le tante c’è la FIDAPA, ente organizzatore della conferenza di Don Antonio Mazzi).
Il questore di Matera parla di quattro diverse caratteristiche subentranti nel comportamento del bullo:
- l’intenzionalità,
- la sistematicità dell’abuso,
- l’asimmetria di potere,
- lo squilibrio di forze e psiche.
Conoscerne il problema è il principio della soluzione: per fare questo, Matera tutta, istituzioni e forze dell’ordine, si sono fatta portavoce di un programma di divulgazione informativa nelle scuole pubbliche.
Il metodo della repressione coercitiva è di certo qualcosa di negativo: se non adeguatamente concepito secondo protocolli pedagogici nazionali, è controproducente o addirittura amorale, nell’aberrazione del mancato rispetto di individualità personali e familiari.
Si, perché la prima vittima della violenza è il bullo stesso.
Un bullo non adeguatamente recuperato, sarà un socialmente deviato di domani.
Le prime persone responsabili nel processo di crescita e formazione del ragazzo sono gli adulti: oggi non ci si può più permettere di vedere genitori faciloni, poco attenti ai propri figli e limitarsi a dire la classica frase di convenienza: «vabbe, tanto prima o poi passerà!».
Oggi, secondo la Chiesa, non si sa più amare (nel senso Vero del termine), ci si limita ad una condizione di transe unte.
Ed è qui, che comincia la testimonianza di Don Mazzi.
Il bullismo è un fenomeno che non va isolato ad altre condizioni di disagio giovanile.
Il giovane di oggi soffre, specie in fase adolescenziale.
Tutto questo è dovuto ai profondi cambiamenti storici verso i quali la società italiana è andata incontro nell’immediato dopo guerra, il tutto traducibile in quattro fondamentali momenti:
1) è cambiato il ruolo della donna – è un individuo non più marginale, ma centrale e non va sottovalutata nell’esercizio della sua professione lavorativa;
2) l’uomo è in crisi – si è passati da una società verticista, paternalista, autoritaria (più del dovuto), ad una società di padri in crisi (che non sanno più esserci senza dover necessariamente bastonare);
3) adolescenza insofferente nel corpo;
4) il ruolo di ospite desiderato/indesiderato della tv in famiglia.
L’infanzia è il tempo delle madri, l’adolescenza quella dei padri (perché i giovani d’oggi sono puledri scalpitanti, torrenti in fiumana).
Per affrontare queste fasi critiche nello sviluppo dell’individuo precoce, oggi gli italiani sono certamente fra i migliori pedagogisti del mondo, ma al di fuori della scienza, c’è molta provvisorietà e improvvisazione.
I ragazzi oggi soffrono perché non sono protagonisti: per la società di oggi, il figlio studia soltanto e gode di spazi e tempi (e luoghi) insensati di tempo libero.
L’adolescenza va studiata, rispettata ma mai eccessivamente criminalizzata, perché l’adolescenza è la vera nascita dei figli, che vanno sin da piccoli amati, ma mai posseduti (messaggio-invito rivolto alle madri).
Istruzione, Educazione e Formazione alle difficoltà della vita: preparare i ragazzi sin da giovani alla loro entrata in campo, nel mondo degli adulti è quello che va fatto, perché i giovani abbiano le spalle forti di fronte a violenza, alcool, vizi, droghe etc.
Oggi siamo vittime di un relativismo che ci rende deboli e che ci spinge a ricorrere il più possibile alla psicologia, che talvolta è solo nichilismo individuale, ed è sbagliato.
I figli sono come degli alberi che dobbiamo piantare davanti casa (nel giusto rispetto delle individualità personali) e non un vasetto di fiori da portar via; se gli adulti sapranno inculcare nei loro figli la giusta fedeltà nel relazionarsi agli altri, sarà più semplice che gli stessi figli possano aprire un dialogo formativo nei confronti delle famiglie (e non tenerle lontane verso certe problematiche o segreti personali).
Le radici profonde vengono dalla educazione, poi dalla sanità fisica e mentale, e soltanto in ultimo la scuola, la chiesa, le istituzioni.
I nonni non devono interferire nel processo di educazione del figlio, tanto meno sostituire i genitori o viziarli.
Preti, suore, e anche i più “santi”, di certo, non nascono genitori: per questo Don Antonio Mazzi invita la platea a far attenzione alle sempre più dilaganti forme di solitudini di infanzia (quelle legate a genitori sempre molto impegnati nelle loro attività lavorative o quelle condizionate da un
uso estremo dell’apparecchio televisivo).
La tv è un ospite: detta cultura positiva e negativa, 24 ore al giorno, e ha (a detta di molti) sempre ragione, perché noi, tante volte, non siamo adeguatamente critici di fronte a certe notizie o immagini che ci vengono trasmesse, a volte addirittura inculcate.
L’adolescente soffre:
- nel corpo: la società oggi non dà consigli veri, di fronte a questo problema.
Il ragazzo diventa divo oppure si sente uno sgorbio, non ci sono alternative decenti.
Le mutazioni nel corpo riguardano fondamentalmente psiche e sesso, quello che a detta di tutti, sarà il più grande problema da risolvere nei prossimi anni.
- il ragazzo soffre di esibizionismo, per natura.
Fin da bambini tutti noi siamo dei teatranti, sin da raccontare le bugie. Si arriva a buttarsi già facilmente: crisi epilettiche e vittimismo sono all’ordine del giorno in televisione. Se il ragazzo è esibizionista, le soluzioni che possono marginare questa tendenza possono essere un giusto indirizzo teatrale e/o sportivo, ma che sia moderatamente monitorato.
- gli amici (che nei bulli, diventano i membri del branco): oggi i ragazzi non si riconoscono più nell’aggregazione serena alla Powell o alla Don Bosco (si pensi allo scoutismo): bisogna trovare un modo di stare insieme alternativo e preventivo, ma non è facile.
- tempo libero (e attenzione a come occuparlo): la parrocchia dovrebbe tornare ad essere luogo di aggregazione giovanile e promotrice di talenti, perché l’adolescenza per antonomasia è il tempo della amicizia.
Gli adolescenti, d’altronde, avrebbero bisogno sempre di avventure positive.
Don Mazzi conclude il suo intervento enunciando, tre diverse tipologie di bullo:
1) il vero bullo, lo conosciamo già a 6-7 anni alla scuola elementare: possiamo salvarlo solo se creiamo il giusto dialogo tra insegnanti e famiglie;
2) il bullo criminale, i compagni coltelli, etc;
3) bulli adolescenti aggressivi che non conoscono bene il proprio corpo e quello degli altri: cominciano col giocare poi, se non sono attenti i loro insegnanti, danno vita a violenza e emarginazioni. L’equipe pedagogica degli insegnanti deve capire e individuare i bulli che non si vogliono bene, e scomodare psicologi e persone significative, da portare in classe, prima che avvengano i danni (nelle comunità locali e piccole ci si avvale di solito anche di personaggi simboli, vedi il parroco, o testimoni non pettegoli, vicini alle famiglie).
Il fenomeno del bullismo c’è, va chiarito, ma solo con la semplificazione e la cura giusta.
Il bullo vive il suo bullismo a scuola (fondamentalmente), in un arco di tempo che va dalla seconda media ai 16-17 anni, perché la scuola è il luogo dei coetanei, ed anche di eventuali demotivazioni.