La tradizione materana dei preparativi al matrimonio e delle “manovre di avvicinamento” delle famiglie in vista del lieto evento rivive sul palco del teatro Duni con lo spettacolo in vernacolo “I la zìt còm si iacch..." portato in scena lunedì sera dalla compagnia Il Sipario. La seconda volta al Duni della commedia scritta e diretta da Bruno Nicola Frangione, dopo il debutto dello scorso 16 dicembre, ha fatto registrare nuovamente il tutto esaurito nel teatro materano. La serata è iniziata con l’apprezzato buffet a base di pettole e vino rosso offerto dal ristorante Stano che ha accolto il pubblico nel foyer del teatro materano, opera dell’architetto Ettore Stella. La storia racconta delle nozze tra due giovani nella Matera degli anni 50 quando il matrimonio era un “affare di famiglia” e si contrattava scrupolosamente la dote che doveva accompagnare i giovani. Quando il sipario si apre, il pubblico si ritrova ad apprezzare una scenografia molto dettagliata che ripropone l’interno di una tipica casa contadina dei Sassi di Matera con tanto di mulo che vive in promiscuità, ritratto degli avi sulla testata del letto e armadio tipico dell’epoca. Una scenografia davvero degna di nota per la ricercatezza stilistica e l’attenzione alle suppellettili del tempo che fa da contraltare ad una recitazione in vernacolo di buon livello da parte di tutti gli attori, sostenuta e guidata dalla verve di Pasquale Cancelliere che nel ruolo del padre famiglia da il meglio di se. Performance apprezzabile anche quella di Bruno Nicola Frangione nel simpatico ruolo del nonno che non perde occasione per concedersi un buon bicchiere di vino paesano. La commedia, divisa in tre atti, ripercorre i momenti fondamentali dei preparativi al matrimonio attraverso il succedersi di episodi esilaranti, personaggi divertenti, leggende e credenze popolari che rendono lo spettacolo in sé una vera festa al quale il pubblico partecipa volentieri dispensando applausi durante tutta la rappresentazione. Di rilievo la sceneggiatura che solo in qualche occasione perde tono (come nel caso dell’omaggio a Carlo Levi) mentre è lodevole il lavoro di ricerca linguistica con l’uso di termini dialettali arcaici che rendono ancora più autentica la messinscena. Le risate sono assicurate per tutto lo spettacolo, mentre per chi si fosse perso lo spettacolo si replica a gennaio.
Giovanni Martemucci